Storia del San Paolo

STORIA DEL COMPLESSO MONASTICO OVE SI TROVA LA SEDE CENTRALE

LE ORIGINI

Il complesso di S.Paolo inter vineas prende il nome dalla chiesa intitolata all’apostolo Paolo.

L’origine della chiesa è molto antica. S. Gregorio Magno ne fa teatro di un episodio miracoloso avvenuto a Spoleto nella seconda metà del VI sec. d.C. Un vescovo ariano, non avendo una propria chiesa, ne domandò una al vescovo cattolico. Ricevendo una risposta negativa volle, con la forza, occupare quella di S.Paolo. Durante il tentativo di officiare la messa, la chiesa si illuminò miracolosamente e il vescovo ariano rimase cieco.

Nel X sec. vi si fonda un monastero di monache benedettine. Nel 1002 si ha notizia di una donazione, fatta da un vescovo, tale Lupo o Lupone, a Berta, ordinata badessa dallo stesso vescovo. La donazione consiste in 30 modioli di terreno, con alberi di mele e altri generici (cum pomisi et arboribus), in una località denominata S.Boroto. Leggendo attentamente l’atto di tale donazione ci sono due frasi, “quod noviter monasterium instituimus” “quam nos manibus nostris consecravimus et ordinavimus”, che pongono dubbi sul preciso anno di fondazione del monastero. Infatti il termine noviter, che dà il senso di “nuovo” o “nuovamente”, fa pensare non ad una nuova fondazione, ma ad un ripristino o ad una restituzione. La seconda frase porta ad interpretare che non molto tempo prima della donazione del 1002 fu necessario al monastero una dote per lo stato di indigenza in cui si trovavano le monache. Queste due affermazioni porterebbero a collocare l’istituzione del monastero a prima dell’anno Mille o addirittura ad arretrarla agli ultimi anni del secolo precedente.

 

Nel 1234 il monastero ottenne la regola delle clarisse da papa Gregorio IX, venuto appositamente per consacrare la chiesa.

Nel corso del XIV sec., a causa delle continue lotte fra le fazioni cittadine, il monastero, esposto ad ogni violenza, venne abbandonato e le monache, nel 1396, si trasferirono nel monastero di S. Agata, all’interno delle mura cittadine.

Il complesso di S. Paolo venne affidato ai frati Minori Osservanti, che vi rimasero fino alla prima metà dell’Ottocento.

Nel 1817, su iniziativa del gonfaloniere Bernardino Montani, ospitò temporaneamente un “Reclusorio” di mendicità, originariamente riservato ai soli uomini, mentre le donne occuparono i locali della chiesa e del monastero di S. Andrea, abbattuti in seguito per l’edificazione del Teatro Nuovo.

In seguito ai decreti Pepoli del 1860, che istituirono nella Provincia dell’Umbria tre Ricoveri di mendicità, due maschili a Foligno e Rieti e uno femminile a Spoleto, il complesso di S.Paolo inter vineas fu destinato a sede del Ricovero femminile provinciale di mendicità e, a partire dal 1868, accolse le mendicanti povere dell’Umbria. Intitolato a Margherita di Savoia, ai primi del Novecento disponeva anche di una sezione riservata alle cosiddette “Dementi tranquille e innocue”.

Nel 1960 assunse la denominazione di Casa di riposo ed ospitò sia gli anziani,  donne e uomini, sia una sezione psichiatrica.

LA CHIESA

La chiesa ha una pianta rettangolare, larga e profonda. La zona del presbiterio non sporge dalla pianta e ha delle bifore e una monofora ai due lati brevi.

L’abside è probabilmente il resto di una chiesa precedente, infatti ha conci di pietra diversi dal resto.

La facciata è decorata in basso da una semplice fascia tardo-romanica con marmo lunense e pietra calcarea; è a due spioventi e presenta delle lesene che rispecchiano la divisione a tre navate dell’interno; è divisa orrizzontalmente in tre zone separate da cornici con motivi ad “archetto”. La prima zona in alto ospita il timpano restaurato, che sovrasta il rosone, situato nella seconda zona; rimaneggiato nel corso del Settecento è stato restaurato, recuperando gli originari pezzi conservati nel Museo Civico. Nell’ultima zona si apre il portale strombato a tre rincassi, che presenta ai lati e sulla lunetta tracce di affreschi quattrocenteschi, con “S. Pietro e S. Paolo” e “Madonna col Bambino”.

L’interno è diviso in tre navate, coperte dal soffitto a capriate e separate da due file di cinque colonne; nella fila sinistra, l’ultima di esse è sostituita da un pilastro, testimonianza del campanile distrutto nel 1880. Nel XVIII sec. invece le navate erano sovrastate da sei volte a crociera. In fondo alle navate l’arco trionfale, la cui parete sinistra è bicroma, perchè restaurata con materiali differenti da quelli originali, introduce il transetto che nel Settecento era diviso in tre bassi ambienti, al di sopra dei quali c’era una soffitta con un ciclo di affreschi del XII sec. Oggi la soffitta è andata distrutta, ma i resti degli affreschi sono ancora visibili sulla parte superiore della parete frontale. Lungo la parete sinistra è presente un affresco raffigurante “Madonna Annunziata”, mentre sulla parete destra un altro affresco, staccato e poi ricollocato sulla parete, rappresenta scene della Genesi. Poco dopo l’arco si trova l’altare romanico, tornato alla luce nel corso dei restauri iniziati nel 1955 e costituito da quattro lastre di pietra, poggianti su un basamento di marmo e unite da pilastri scanalati con capitelli finemente lavorati. Sulla lastra frontale si apre una finestrella, dalla quale si scorge un altare più antico, formato da una colonna cilindrica con capitello cubico, avente la funzione di contenere reliquie.

 

LA RISTRUTTURAZIONE DELLA CHIESA

Nel corso della sua lunga storia, a causa di eventi calamitosi, soprattutto negli ultimi cento anni, il complesso ha vissuto un degrado architettonico nel quale è rimasto fino al 1955, anno in cui si è avviata un’opera di restauro.

Nel 1950 il Comune di Spoleto, per il timore di perdere a causa di eventuali crolli o cedimenti, i due affreschi del transetto risalenti alla fine del XII sec., ne operò il distacco; in tale occasione si fece un approfondito esame dell’organismo architettonico per comprendere le cause dei diffusi cedimenti e ipotizzare un programma di ripristino. Dall’esame statico si capì che le cause dei cedimenti si articolavano secondo tre linee principali: insufficienza dei fondali per la presenza di acque freatiche nel terreno; creazione di volte molto pesanti; demolizioni e terremoti.

Con l’interessamento della Sopraintendenza, del Provveditorato alle opere pubbliche e del Genio civile dell’Umbria si diede via al restauro. Inizialmente si provvide alla sottofondazione della struttura, poi si disciplinarono le falde acquifere con idonei drenaggi; si demolirono le volte settecentesche e si operò un ordinato smontaggio e rimontaggio di elementi architettonici come colonne e capitelli. Fasi successive furono il riportare alla luce l’abside originaria, che nel tempo era stata allargata e l’eliminazione sia dei muri che dividevano il transetto in tre bassi ambienti, sia di  quelli che dividevano le navate laterali in cappelle. Si passò poi al consolidamento e al restauro della facciata, con la ricostruzione del rosone, recuperando gli originari pezzi conservati nel Museo Civico. Il rinnovamento più importante fu quello dell’altare settecentesco, che portò alla scoperta di quello originario del Duecento, probabilmente lo stesso usato da Gregorio IX per consacrare la chiesa nel 1234.

IL CHIOSTRO

Il lato ovest del chiostro è un’importante reliquia dell’antico fabbricato monastico. Esso presenta arcate dall’ampio sesto, scandite da colonne alternate a pilastri quadrangolari. Le robuste colonne e i relativi capitelli appartengono certamente allo scorcio del X sec., cioè all’epoca della fondazione del monastero benedettino, rappresentando forse il chiostro più antico dell’Umbria, precedente a quello di S.Rufino in Assisi.

GLI AMBIENTI ADIACENTI AL CHIOSTRO

Adiacente al lato ovest del chiostro, si trova l’antico refettorio del monastero, adibito in seguito a cappella per officiare la messa a beneficio delle ospiti, invalide o malate, del Ricovero.

L’edificio conserva ancora i seditoi in legno, che corrono tutti intorno alle pareti, nonchè un ciclo di affreschi, con soggetti francescani, probabilmente- come ha ipotizzato il Prof. Bruno Toscano- di epoca ottocentesca, realizzati dopo il 1815, quando anche a Spoleto era stata ripristinata l’autorità papale, dopo la parentesi della dominazione francese, durante la quale il convento di S. Paolo fu utilizzato per ospitare la cavalleria e i suoi frati Minori Osservanti costretti a “far pane” per i soldati francesi.

“Rimane- scrive lo storico spoletino Achille Sansi nel 1869- in una cella, che ha la porta nello stesso chiostro, un affresco, in cui la imperfetta esecuzione, e i ritocchi, che lo hanno in parte imbrattato, sono compensati da una gran forza di espressione. Alcuni vaghi angeletti piangenti stanno sulle ali intorno allo spirante Signore. Da un lato della croce è Giovanni isolato nella sua afflizione; dall’altro la Vergine tramortita tra le braccia delle Marie. Quei volti pallidi, quelle pietose movenze di capi e di persone, quegl’occhi socchiusi, quelle bocche semiaperte, dalle quali pare udire un coro di commiserevoli lai, fanno una vista d’ineffabile dolore. A pie” della croce non è la Maddalena, ma un frate minore che ginocchioni s’abbraccia al tronco; e che, sebbene volga le spalle e nasconda il volto ai riguardanti, con quel gettar alto delle braccia, con quel torcere della persona, e piegar del capo abbandonato sul legno, mostra un affanno ed un affetto che non ha pari.

L’affresco- prosegue Achille Sansi- è sicuramente posteriore alla prima metà del secolo XV, perchè il luogo, lasciato dalle Benedettine, che nel 1396 si trasferirono a S.Agata, fu dato ai frati Minori poco innanzi al 1459, in cui morì Fra” Giuseppe da Gubbio, che ne fu il primo Guardiano. E minorita fu forse il pittore, che verisimilmente volle esprimere la propria devozione, dipingendosi a pie” della Croce. Dico ciò, perché quel frate non ha aureola da poterlo credere immagine d’un santo.

L’ambiente

Il S. Paolo inter vineas è una scuola immersa nel verde e nella bellezza del paesaggio, con meravigliosi spazi verdi al proprio interno e con vedute di Spoleto da cartolina illustrata che si affacciano sulla Rocca, la chiesa di S. Pietro e il Monteluco.

Una scuola dunque -così si è espresso il Prof. Bruno Toscano- che, nel panorma dell’edilizia scolastica italiana, rappresenta una vera eccezione, vicina com’è ai  modelli delle scuole  dei paesi nordici, dove la progettazione degli spazi verdi è un obbligo per creare ambienti dove è bello studiare.

UNA SCUOLA IMMERSA NEL BELLO DEL PAESAGGIO E DELL’ARTE

 

 
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Scheda storica realizzata nell’a.s. 2007/2008, a cura della classe quarta. sezione A, del Corso Turistico.

Coordinamento: Prof.sse Faustina Frascarelli, Aurora Gasperini

Si ringraziano il Prof. Bruno Toscano e Don Giampiero Ceccarelli.