di Marina Cammarata
“A giornata finita, a stanchezza salita, a salute brindata; provi a fare i conti…”
Proprio come nel testo di una canzone di Ligabue, anche per i ragazzi tornati dall’Erasmus è arrivato il momento di fare i conti!
Anche se la lunga fila al check-in del volo dava speranza ai “sabotatori” della partenza; alla fine, alle 7.30, le ruote dell’aereo bulgaro per Roma si sono staccate dal suolo.
Per la gioia dei loro famigliari, sono ritornati al nido.
E, una volta svuotata la valigia e consegnato i souvenir; la mente è stata occupata di nuovo dal pensiero della scuola o del lavoro (per i neo maturati).
Ma nessuno di loro, in un modo o nell’altro, può smettere di pensare al viaggio appena finito.
Alcuni non aspettavano altro che la loro “home sweet home”, mentre a qualcuno non sembrava di essere ritornato a casa; ma piuttosto, che in un certo senso, l’avesse lasciata.
Come dice la loro giovane tutor: “ Forse la nostra casa si trova in tanti angoli del mondo”.
E la sfida sta proprio in questo, essere in grado di saper costruire dei legami, affettivi e lavorativi; tali da donarti quella sensazione di confort unica delle pareti domestiche.
Non è sempre facile, ma di certo in due mesi hanno fatto il meglio che potevano per diventare parte della società bulgara.
Sono riusciti persino a entrare dentro i cuori dei colleghi che hanno pianto nel veder partire i loro “bambini”.
Una di loro, ad esempio, ha speso il suo giorno libero per cucinare banitza e baklava per tutti. Per un altro, invece, non sono bastati due baci sulla guancia e un abbraccio, ha voluto accompagnarli e seguirli fino in aeroporto.
Sono riusciti a meravigliare Mr. Botev (tutor agenzia intermediaria bulgara) anticipando di 10 minuti la sua precisissima tabella di marcia e gli hanno fatto cambiare opinione sui ritardatari italiani.
Hanno creato dei bei ricordi a tutto il personale dell’albergo che gli ha fatto da casa per questi due mesi, hanno anche commosso la dolcissima cameriera del ristorante.
Sono partiti proprio nel momento meno adatto; quando tutto sembrava ormai quotidiano e familiare.
Se si dovessero racchiudere tutti i 60 giorni in un verbo; questo sarebbe: “ RICREDERSI”.
Con due mesi i ragazzi si sono dovuti ricredere su alcuni degli stereotipi esteri, su alcune loro idee, sulle loro abitudini e sui loro progetti.
Quest’esperienza gli ha donato un po’ di occhio critico e di capacità analitica.
L’avreste mai detto che, in due mesi, sarebbero successe tutte queste cose?