di Alessandro Sorrentino *.
La lezione è finita, ripongo i libri e i fogli nella borsa e sono già con la mente oltre i cancelli del carcere. Sembrerà una bestemmia e lo è ma in quanto privilegiato, perché uomo libero e insegnante fra i detenuti, vorrei rimanere “dentro”, fuori ci sono le incombenze quotidiane e le preoccupazioni di un periodo difficile. «Prof, ci vediamo lunedì?», si avvicina X., poco più di quarant’anni e la tuta della Juve (ce la facciamo andare bene). «No, con voi, ci vediamo mercoledì. Ma lunedì sono comunque qui, quindi sì sicuramente ci vedremo» «Ah, ok, buona Prof!» fa per andarsene, ma poi torna subito indietro: «che poi Prof, io lunedì non ci sono, ho avuto il permesso premio, starò 13 ore con la mia famiglia che viene a trovarmi!». Alzo gli occhi e gli sorrido: «davvero? Ma è bellissimo, sono contento!», ci stringiamo le mani e lui sorride ancora più di prima, cogliendo la sincerità della mia gioia. E poi continua: «me l’hanno comunicato il giorno dell’interrogazione che ho fatto con lei, quella sui comuni. Ha portato bene!». Ci salutiamo. Ripenso a quell’interrogazione: penultimo giorno di scuola prima delle vacanze natalizie, cielo plumbeo fuori e le aule sono ancora più grigie del solito. X. è ansioso, mi guarda di sottecchi mentre interrogo i compagni, è preoccupato. Ma si è impegnato, lo capisco. Arriva il suo turno, ha il computer davanti (è anche studente universitario, quindi ne ha diritto), con la pagina aperta sul riassunto e comincia a parlarmi dei Comuni italiani, di queste libere associazioni di cittadini, sorte nel Medioevo… Accanto a lui c’è Y, sto assistendo alla più casuale e non pianificata peer education, tanto millantata sui libri di pedagogia e sui manuali per i concorsi. Y. è bravo, studente modello, si impegna. Hanno ripetuto insieme, hanno fatto il riassunto insieme. X. parte bene, poi gli faccio una domanda e si inceppa, va nel panico e comincia a leggere, non lo interrompo, però lo fa Y., mi guarda e poi guarda lui e gli dice: «non leggere hermano, la sai, lo abbiamo ripetuto prima». X. sorride, sardonico e stanco, sta decidendo che non gli interessa, leggerà e prenderà un voto più basso, continua a leggere. Y. persevera, con un semplice, prolungato e quasi scocciato: «Daaaai!». X. lo guarda e poi gira gli occhi verso di me e l’interrogazione filerà liscia come l’olio, non guarderà più il Pc e andrà anche oltre le mie aspettative. «Ha portato bene», penso alle sue parole e pur sapendo che non è così, che l’interrogazione non c’entra nulla e che nulla ha a che fare con le valutazioni del Magistrato di sorveglianza, anche io mi convinco che lo sia. Mi convinco che il pomeriggio o la mattinata in cella che Y. e X. hanno passato a riassumere e a ripetere per l’interrogazione abbia avuto un effetto, che quei momenti e quegli attimi, che quell’interrogazione rimanga tale nella mente di X., il talismano che gli concederà, lunedì, di stare con i suoi cari, per 13 ore, per quella mezza giornata che per loro vale come per noi un’intera settimana di vacanza. Mi convinco che sia così, non perché è la MIA interrogazione, ma perché se la scuola diventa modo di collaborare, di riscattarsi, di essere ricompensati davvero per il proprio impegno, allora si, che è davvero scuola.
(* Ringraziamo Alessandro Sorrentino, insegnante di Italiano e Storia presso la sezione del De Carolis, all’interno della Casa di Reclusione di Maiano, per questo primo racconto, sperando di poter dare il via con questa coinvolgente lettura, a una serie di Racconti da Maiano)
Bravo Alessandro! Mi pareva di star lì con X e Y…scrittura molto coinvolgente e per chi, come me, ha avuto la fortuna di vivere la tua stessa opportunità al di dentro, da brividi. Grazie per questa pagina di vita.