A Colfiorito per ricordare

di Marina Cammarata

Negli ultimi anni la memoria è sempre meno allenata. Non ce n’è nemmeno il bisogno.  Tanto abbiamo già chi ricorda le cose per noi: promemoria per i nostri impegni, social network che segnalano i compleanni dei nostri cari, fotografie che testimoniano i nostri viaggi.

Eppure agli inizi del secolo scorso, dalla memoria e dai ricordi, nasceva tutto. Si formavano opinioni, punti di vista, coscienza.

Si sentiva la necessità di trasmettere tutto ciò che si era visto o sentito, ma non per soldi; solo per il piacere di propagandare i loro racconti.

Così nei piccoli paesi girovagavano i racconta storie che, con una melodia che accompagnava il loro cammino, cantavano le storie dei personaggi più popolari della realtà circostante.

Proprio come ha fatto la Signora Argelia il pomeriggio del 3 Maggio con i ragazzi del quinto anno della nostra scuola.

Anche se la voce ogni tanto s’indeboliva visto l’età, Argelia ha cantato la storia che lei stessa da bambina di 10 anni aveva sentito tra le campagne di Le Prata.

Questo brano parla della storia di Peppino e Achille, due poveri ragazzi che per sfuggire ai tedeschi che rastrellavano il paese durante il 1943, furono catturati e uccisi brutalmente.

Percorre però anche le storie di altre persone, di una guerra civile che vedeva famiglie separate di qua e di là degli schieramenti.

Mentre cantava, sembrava che nei suoi occhi era tornata la bimba di quegli anni.

Come tutti sappiamo nel 1940 l’Italia entra in guerra spinta dal suo spirito conquistatore.

E da quel momento, anche un altro paesino umbro venne coinvolto da vicino.

Colfiorito, un piccolo centro montano vicino Foligno, era diventata “la casa” di molti prigionieri di guerra e interdetti civili. I malaugurati (fino a 1800 nel 1943) erano costretti a vivere nel campo di concentramento costruito nelle casermette: immobili precedentemente usati da militari.

Non dovevano lavorare, non erano stati portati lì per essere sterminati; c’era solo il bisogno di rinchiuderli e impedire che ostacolassero i progetti tedeschi e italiani. I prigionieri provenivano principalmente dai Paesi Balcanici come il Montenegro, e vissero per 2-3 anni in condizioni disumane; senza più intimità, mangiando piatti di minestra e dormendo sulla paglia.

Molti non riuscirono ad uscirne, la loro salute era troppo fragile e le condizioni igieniche erano inesistenti. Pochi invece ce la fecero.

Nel 1943, quando l’Italia venne invasa da sud dagli Americani e a nord dai Tedeschi in coalizione con la Repubblica Sociale; i prigionieri di Colfiorito approfittarono del momento di confusione per tentare una fuga d’accordo con le guardie.

Scapparono in massa e si “sparpagliarono”: chi volveva raggiungere il mare per tornare in patria, chi si dirigeva a sud per allearsi con gli Americani, e chi invece rimase tra i boschi nel cuore verde d’Italia a fiancheggiare i partigiani italiani.

Tra i sopravvissuti c’era anche Drago, un montenegrino che si è spento qualche anno fa dopo aver vissuto sulla pelle una guerra e un periodo di reclusione.

Eppure nelle sue parole non c’era né rabbia, né risentimento. Lui visse i due anni di prigionia come una parentesi della sua vita e quando la raccontava trasmetteva una grande emozione per i suoi compagni che non hanno potuto vivere l’età adulta che tanto aspettavano.

La giornata ha insegnato tanto ai ragazzi. Una lezione di storia sul campo, coinvolgente e viva.

I docenti che hanno guidato i vari gruppi hanno lasciato nella memoria degli studenti una giornata con testimonianze dirette che sicuramente non dimenticheranno.

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