Federico de Benedictis è un giovane Docente di Matematica dell’Istituto Alberghiero “De Carolis” di Spoleto; tecnicamente, un Docente “neo-immesso in ruolo” dal 1° settembre 2022, in realtà un Insegnante che sembra da sempre aver insegnato nella nostra scuola: merito, senz’altro, della sua affabilità e delle sue capacità relazionali, ma anche – questa è un’ennesima prova- della capacità del nostro Istituto di accogliere e accompagnare: come dice sempre la nostra Preside: “Io sono la prima testimone dell’accoglienza e del supporto che si respira in questo Istituto, che lo rende pressoché unico: il problema di una persona è il problema di tutti, il successo di una persona è il successo di tutti; il clima che qui si respira non si prova in nessun altro luogo”.
Ma torniamo a Federico: abbiamo deciso di iniziare con lui la Rubrica Il “De Carolis” si racconta perché, insieme col Prof. Paolo Diotallevi, sarà protagonista dell’evento programmato per il 21 dicembre, il “GeometriCOcktail”.
L’appuntamento con Federico è fissato in Sala Docenti: nell’avvicinarmi lo scorgo concentrato su uno strano oggetto colorato, tra libri, cellulare, computer e fogli di carta: un’immagine che, poi lo scoprirò, ha un senso profondo.
Inizio la mia intervista con la domanda classica: come hai iniziato a interessarti di Matematica, come hai “sentito” che quella era la tua strada, e, soprattutto, ha un fondamento questa idea che esista un “pallino per la Matematica”, che per coltivare questa disciplina sia necessaria una sorta di predisposizione?
Vorrei averlo io, il pallino della matematica! Invece ho dovuto e devo studiare, ogni giorno. È questo che voglio dimostrare con il mio comportamento in classe: studiando e ragionando è possibile costruire degli strumenti per il problem solving quotidiano.
Mi sono accorto di essere davvero innamorato della matematica solo quando ho cominciato ad insegnarla. Ai miei studenti ricordo spesso che il modo più efficace per conoscere la matematica è spiegarla a chi non ne sa nulla, essere costretti a destrutturare problemi complessi, semplificare il proprio linguaggio senza perdere il rigore, con una visione d’insieme.
Tutti abbiamo il diritto ed il dovere di conoscere la matematica, è una dote innata che va coltivata con cura. Non riesco a non contraddire chi dice di essere negato per la matematica.
Tutto è matematica: calciare un pallone in un punto preciso, mirare ad un bersaglio, preparare un piatto buono e bello, rimanere in equilibrio per una frazione di secondo ad ogni passo, guidare, suonare, disegnare, collegare i fatti, esaminarne cause ed effetti. Galileo Galilei sosteneva che “la Natura è un libro scritto in caratteri matematici”. È imperdonabile rinunciare ad imparare a leggerlo.
È frequente, specie nell’insegnamento della matematica, imbattersi in ragazzi e ragazze in cui è radicato un vero e proprio timore “monolitico” nei confronti della materia, associato ad una generale diffidenza verso le proprie capacità (oltre che in quelle del docente, o per meglio dire “dei docenti”, visto che il precariato porta ad una schizofrenia didattica) e ad una sorta di auto-stigmatizzazione, che spesso rischia di rendere poco produttive le migliori pratiche didattiche. Questo porta anche gli studenti a denigrare l’importanza della matematica nella loro vita, come faceva la volpe con l’uva. Un’occasione sciupata, che spesso conduce a forme di analfabetismo funzionale difficilmente sanabili.
Credo di aver capito, finora, che studenti e docenti non intendono la stessa cosa quando parlano di matematica. Gli studenti raccontano di calcoli, di regole oscure, di ansia, di procedure senza uno scopo (se non la promozione alla calsse successiva), di termini tutti uguali fra loro, indistinguibili e privi di significato. Un boccone amaro da mandare giù per liberarsene, in qualche modo.
Gli insegnanti di matematica in genere lavorano con un senso di frustrazione e di rassegnazione, additati come una setta di noiosi stregoni che partendo da una oscura formula magica ricavano uno o più numeri, lamentandosi del fatto che gli studenti operino una specie di vilipendio della più nobile delle for me di pensiero. Non riesco a darne la colpa agli studenti, provo una grande empatia nei loro confronti. Dopo la maturità classica mi sono iscritto ad ingegneria, ed ho sofferto come loro, ho sognato mostri per anni, mi sono sentito inadeguato. Provo ad immedesimarmi nei ragazzi che sulla lavagna vedono solo frustrazione. Dovrebbero invece scoprire che l’eleganza della matematica non è fine a sé stessa, è il risultato di millenni di “labor limae” che hanno portato a scrivere cose complicate in modo semplice. Loro vedono adulti scrivere cose semplici in maniera complicata.
Se io seguissi come studente una lezione banale di matematica in lingua cinese non reagirei in maniera molto diversa dalla loro. La matematica è meravigliosa, è un modo di guardare alle cose. Il calcolo ne è solo una parte, seppur molto affascinante. Ha un’eleganza inarrivabile, ma è necessario ed utile che venga applicata, in un ambito di didattica STEM, ossia come legante fra discipline diverse, rivolte verso scopi concreti.
Un aspetto su cui mi piace molto lavorare è la storia della matematica, l’analisi di un’eredità evolutiva che non possiamo e non dobbiamo dimenticare. Credo sia questa la mia strada, ora: cercare di ricostruire il rapporto fra studenti e matematica.
Quale è stato il tuo percorso accademico, e quali esperienze di Insegnamento hai avuto?
Sono figlio di due insegnanti, in qualche modo posso dire di aver seguito le loro orme. Mio padre era un ingegnere elettronico, ed ha lavorato per gran parte della sua vita in istituti professionali. Mi ha insegnato che per capire come funzioni qualcosa molto spesso è necessario smontarla, che siamo tutti schiavi dell’entropia, e che con del nastro isolante, un cacciavite e lo studio si può fare quasi tutto. Mia madre è stata in classe con i ragazzi per i tre quarti della sua vita, è in pensione ma non riesce ancora a separarsene, opera come volontaria nelle scuole ed in carcere. È una testimonianza vivente della voglia di trasmettere sapere e fiducia in se stessi.
Dopo la maturità classica ho deciso di cambiare completamente orizzonte e di studiare ingegneria come mio padre – che purtroppo è morto proprio in quel periodo – scegliendo, fra tutte le specializzazioni, quella che mi sembrava meno arida: l’ingegneria per l’ambiente ed il territorio. Ho scoperto la matematica e la fisica, la chimica, la meccanica ed il disegno, l’urbanistica e la geologia. Quindi posso dire di avere incontrato la matematica come strumento, e non come fine.
Guardandomi indietro riconosco di aver toccato con mano la frustrazione e la fatica legate alla ripidità delle curve di apprendimento. I miei compagni di studi provenivano tutti da studi tecnici o scientifici e per loro si trattava di studiare di nuovo, in maniera approfondita, quello che avevano già avuto occasione di imparare. Mi sono sentito inadeguato per diversi anni, ho dovuto faticare moltissimo per recuperare le conoscenze necessarie ai miei studi e a trasformarli in competenze. Allo stesso modo ricordo la gioia e la soddisfazione provate nel mettere alla prova le mie capacità di apprendimento, e nel collegare il sapere scientifico e tecnico alle domande che i libri di ingegneria ignoravano completamente.
Raccogliendo il materiale necessario alla tesi, mi sono innamorato dei frattali, del caos, dell’imprevedibile, dell’infinitamente grande e dell’infinitamente piccolo, e ho sperimentato l’importanza dell’osservare i fenomeni usando scale diverse, letteralmente.
Subito dopo la laurea ho conseguito un master universitario di secondo livello in management della riqualificazione urbana. Nel frattempo avevo cominciato a lavorare come progettista e disegnatore.
Mi è stato affidato il tutoraggio in un corso di progettazione urbanistica, e mi sono ritrovato ad insegnare ad un gruppo di ragazzi per la prima volta. È stato terrificante raccontare la mia tesi ad un pubblico di universitari. Ho poi accettato di sostituire l’ingegnere per il quale lavoravo nella docenza in un corso di disegno al computer e modellazione tridimensionale, per un ente di formazione professionale. Era rivolto ad ingegneri, architetti, geometri, archeologi. È stato solo il primo della serie, me ne sono stati offerti molti altri, stava diventando una vera e propria occupazione.
A mettermi in crisi è stato un corso per formatori, tenuto da una psicologa. Sono stato costretto ad uscire dalla mia comfort zone, ad osservarmi e ad accettare in maniera costruttiva le osservazioni dei colleghi, a farne tesoro, a lavorare sulla mia voce, sulla prossemica, sulle relazioni di gruppo.
La mia prima esperienza in una scuola pubblica è stata la docenza di matematica presso l’Istituto professionale Orfini di Foligno. È stato un vero e proprio shock, mi ero allontanato molto dai ragazzi, ho faticato a tornare fra loro. Al tempo stesso è stata l’occasione per sperimentare le mie competenze in un mondo completamente diverso. Da allora non ho mai smesso di vedere il mio lavoro come un’occasione preziosa per sviluppare l’empatia, per valorizzare le capacità e l’impegno dei ragazzi, per dare più dubbi e domande che certezze e risposte, per imparare ad imparare e per crescere.
Negli anni seguenti ho avuto molte possibilità, come precario, di osservare situazioni scolastiche diverse, dai licei alle scuole professionali, passando per gli istituti tecnici. Ho seguito percorsi formativi legati a svariate metodologie didattiche innovative e ho potuto sperimentare in prima persona le pratiche di inclusione, anche attraverso il graduale distacco dalla lezione frontale in favore di un approccio laboratoriale nello studio e nell’insegnamento della matematica. Ho avuto diversi incarichi in progetti PON e PNSD legati al contrasto dell’abbandono scolastico ed alla diffusione delle discipline STEM, sia come docente esperto che come tutor.
Ho capito questo di me: adoro la ricerca continua, le relazioni, lo studio, superare in maniera creativa le difficoltà, insegnare ad amare e a coltivare le proprie possibilità.
Da quest’anno insegni in Istituto Professionale ad indirizzo Alberghiero: quale è la funzione e l’obiettivo dell’insegnamento della Matematica negli Istituti Professionali e in un Alberghiero, in particolare?
Lavorare in un Istituto Alberghiero è per me un’esperienza nuova, arricchente ed affascinante. Sto imparando molto dai colleghi e dalle classi, è uno scambio continuo, fra pari. Ho l’occasione di trasformare idee in modelli, poi in progetti digitali, ed infine in materia. In questo caso, spesso, in materia commestibile e buonissima! Come precario, negli ultimi anni ho avuto la possibilità di vedere molte scuole diverse: licei, istituti tecnici e professionali. La mia prima scuola è stata un proprio un istituto professionale.
Adoro lavorare in contesti scolastici professionalizzanti, la mia formazione ingegneristica mi aiuta ad impostare situazioni di problem solving in tempo reale, in contesti molto differenti fra loro: dalla chimica ai servizi socio-sanitari, dalla grafica alla meccatronica. In un istituto professionale la matematica deve avere la possibilità di mostrarsi utile, prima che bella. Deve essere un filo rosso che collega fra loro tutte le altre discipline. Per fortuna si è diffuso l’approccio interdisciplinare tipico degli ambienti STEM, è possibile progettare insieme ai colleghi un percorso di apprendimento autentico.
Molti studenti non intraprendono percorsi universitari, per loro il percorso in un istituto professionale è l’ultima occasione per acquisire competenze autentiche legate alle matematica, bisogna fare tutto il possibile perché la sfruttino al massimo. Mi piace osservare i ragazzi nei laboratori; mi aiuta a capirli, ad osservarne carattere, passioni, punti di forza e di debolezza. Ognuno di loro ha bisogno di una chiave diversa per aprirsi alla matematica; può essere uno sport, un monumento, un piatto preferito, una lingua diversa, uno strumento musicale. Cerco di fare breccia portando continuamente casi concreti e valorizzando le esperienze extra-scolastiche degli studenti.
Non trovo giusto che dopo anni di matematica a scuola un ragazzo non sia in grado di usare nella sua vita concetti base come il minimo comune multiplo o il massimo comune divisore, che veda solo delle sigle minuscole o maiuscole prive di senso. Allora gli strumenti matematici devono diventare occasioni della loro vita lavorativa. Il minimo comune multiplo può essere un modo per organizzare turni lavorativi in maniera efficiente, il massimo comune divisore un modo per fare porzioni di cibo di una certa forma e quantità. La parabola diventa un modo per ottimizzare l’organizzazione di eventi. Credo fermamente nella didattica laboratoriale, nell’imparare facendo. Laboratorio e matematica sembrano due parole incompatibili fra loro; io lavoro per dimostrare il contrario.
Uso molto il computer, è uno strumento dalle potenzialità infinite. Cerco di educare gli studenti all’uso di software open source e alla filosofia che sta dietro questo termine. I percorsi logici e le informazioni devono essere condivisi e ripercorribili, e perciò vanno documentati. Si trovano ad un livello gerarchico più alto rispetto al calcolo. La pandemia ha costretto tutti i docenti a prendere coscienza delle nuove tecnologie e non avrebbe senso tornare indietro. Cerco di farlo usare nelle mie classi il più possibile, anche nelle verifiche. Fa parte delle competenze da acquisire anche l’uso di strumenti sofisticati per il raggiungimento di un obiettivo. Inoltre il ricorso alla visualizzazione attraverso i device abbatte l’ansia in maniera significativa, riduce il digital divide, fornisce una strada alternativa alla scrittura, ma soprattutto permette di vedere la matematica nelle cose e di concentrare gli sforzi nella descrizione dei fatti anziché nel calcolo fine a sé stesso.
Ogni studente porta in tasca una potenza di calcolo impensabile solo qualche anno fa. Mi piace integrare anche i cellulari nelle lezioni, farne scoprire nuove potenzialità. Si ha così la possibilità di insegnare la trasparenza: il telefono non è più il mezzo per aggirare le difficoltà di una verifica, ma lo strumento per affrontarle da un punto di vista diverso, recuperando velocemente anni di lacune accumulate. Se avranno la fortuna di fare il lavoro per cui hanno studiato, non saranno molte le occasioni in cui un cliente mostrerà loro il testo di una equazione di secondo grado da risolvere. Dovranno invece costruire con le loro forze un modello che la preveda, e magari riuscire ad interpretarlo in tempo reale, ad occhi chiusi. Raramente nelle mie verifiche fornisco il testo di una equazione, preferisco siano gli alunni a derivarla da un testo. Un cittadino che non sia in grado di passare dal testo al modello matematico è fortemente esposto al rischio di essere preso in giro.
Durante la mia ultima esperienza in un liceo scientifico ho avuto alcune delle più importanti soddisfazioni della mia vita, dal punto di vista professionale e da quello umano: alla fine di una lezione (secondo me noiosissima!) una studentessa mi ha confessato che, dopo tre anni di liceo, per la prima volta non si era sentita stupida, ero riuscito a farle “vedere la matematica”. Ai colloqui, i genitori dei ragazzi mi dicevano che finalmente vedevano i loro figli studiare senza piangere.
Credo sia merito dell’empatia sviluppata negli istituti professionali grazie agli studenti, ai loro genitori, ai colleghi e ai dirigenti.
Tutto è iniziato con un gattino nero… Mentre entriamo nel vivo delle questioni metodologiche, il Prof. De Benedictis comincia ad illustrarmi gli strani solidi colorati che gli avevo visti in mano prima ancora di incontrarci; e mentre parla appassionatamente ne tira fuori altri dalle tasche, dallo zaino, come un mago. In tutto questo il gattino nero ha un senso: ebbene, qualche tempo fa, Federico donò a una Collega un piccolo portachiavi, un oggetto graziosissimo che era anche miracolo di scienza matematica, perché realizzato con la stampante 3D e composto, in realtà, di solidi tra loro intersecati: la singolare realizzazione passò di voce in voce finché Federico fu “costretto” (benevolmente costretto!) a condividere questa sua particolare competenza con le attività più tipiche di questo Istituto, ovvero le attività di laboratorio: per cui, di fronte alla bellezza delle sue realizzazioni in 3D (realizzazioni in realtà non solo belle ma anche molto sapienti e complesse) si cominciò a pensare di poterne fare elemento centrale di un cocktail, che sarebbe stato tanto gustoso quanto matematico: l’idea fu immediatamente raccolta dal Prof. Diotallevi e da qui nacque il progetto “GeometriCOcktail”.
Ha svolto una l’attività congiunta con il Prof. Diotallevi per una “Goccia di Ghiaccio – Drop of Ice”., che verrà presentata allla stampa a breve, come l’hanno accolta le Studentesse e gli Studenti?
In anni di precariato ho avuto moltissime classi, ma in un solo caso mi è capitato di seguire la stessa classe per più di un anno. Mi confronto sempre con gruppi classe “educati” alla matematica da molti colleghi, con la consapevolezza che l’anno scolastico seguente dovranno essere in grado di lavorare con un docente ancora diverso. Con un orizzonte temporale così ridotto cerco di dare degli strumenti operativi nel minor tempo possibile, sperando di arricchire il loro bagaglio di esperienze positive. Fino ad ora ho avuto un buon feedback da parte delle classi, specialmente per quanto riguarda le attività laboratoriali al computer e di stampa 3D.
Credo di avere instaurato un rapporto di fiducia con la gran parte dei miei studenti, premiando l’attenzione, il confronto, la trasparenza e la partecipazione. Non vedo l’ora di mettere in pratica con loro nuove metodologie ed approcci alternativi o complementari alla lavagna ed alla lezione frontale. Sperimentiamo e cresciamo insieme.
Partendo da alcune immagini relative ad un’esperienza di laboratorio, chiedo al Prof. de Benedictis cosa potrebbe dirci della Tassellazione di Penrose realizzata in Cucina?
La tassellazione di Penrose (un importante matematico inglese) è un modo elegantissimo e molto complicato di riempire uno spazio bi-dimensionale in maniera efficiente e precisa. Genera figure ipnotiche, affascinanti.
Un tema del genere potrebbe essere affrontato rigorosamente in un corso universitario, non è assolutamente banale. Eppure le tecniche di tassellazione sono da sempre presenti nella storia dell’arte e dell’architettura. Imprimere ordine al disordine è una nostra peculiarità, come esseri umani.
Benoit Mandelbrot, un grande della matematica contemporanea, affermava che “le nuvole non sono sfere, le montagne non sono coni, le coste di un’isola non sono cerchi e le cortecce non sono lisce, e nemmeno i fulmini viaggiano secondo una linea dritta”. Ritengo importante che gli occhi dei miei studenti si abituino alla bellezza della razionalità e al caos dell’irrazionale, ai frattali, alla geometria onnipresente. Si tratta di seminare curiosità, dubbi, spunti di riflessione.
La pandemia del 2020 per me ha rappresentato, un’occasione preziosa: la possibilità di studiare a fondo il funzionamento della stampa 3D. La conoscevo già, ho un passato che mi ha visto impegnato nella produzione di musica digitale ed analogica, nella grafica tridimensionale, nel mapping architetturale. Eppure me ne sono procurata una solo nel 2020. Oggi in casa ho tre stampanti 3D, quasi sempre al lavoro per le mie classi. Raccolgo i miei esperimenti ed i materiali che uso in classe tramite un account Instagram, instagram.com/meltingmath. Molti dei miei follower sono proprio i miei studenti e le mie studentesse del passato e del presente. È un modo diretto ed informale per incuriosirli, renderli partecipi del mio lavoro.
Finalmente mi è stato possibile concretizzare, nel vero senso della parola, le mie competenze legate alla matematica, all’ingegneria ed al disegno. Da subito ho iniziato ad integrare questo strumento nella didattica, riconoscendone le immense potenzialità, relative da una parte alla gestione dei tempi ed alla resa, dall’altra alla possibilità di verificare con i propri occhi e con le proprie mani l’applicazione delle competenze matematiche acquisite.
Ho creato dei tagliapasta che riproducessero i moduli geometrici necessari alla tassellazione di Penrose e dei triangoli necessari alla costruzione del triangolo di Sierpinski (un bellissimo esempio di geometria frattale). Li ho portati in laboratorio, ai miei studenti e alle mie studentesse, perché mi aiutassero a testarli. Mi hanno sorpreso per l’entusiasmo, la prontezza e l’efficienza con cui hanno sperimentato la disposizione delle parti, l’ostinazione con la quale hanno cercato di decifrare le regole di composizione del disegno e la competenza con cui hanno evidenziato i difetti di progettazione. Avrebbero imparato che tagliando la pasta con il criterio suggerito ne avrebbero minimizzato gli scarti. È stata una delle giornate della mia vita lavorativa che ricorderò. Hanno creato un piatto buonissimo e bello, fatto di una matematica che magari non sanno scrivere, ma che li ha appagati e che li accompagnerà. Trovo meraviglioso che lo stigma legato alle capacità matematiche dei nostri ragazzi possa essere spazzato via da un piatto del genere. La bellezza deve essere negli occhi di tutti.
Chiedo quindi a Federico di anticiparci qualche sua idea per il futuro, per far sì che sempre meno Studenti affrontino la Matematica con timore e, anzi, con la certezza di non farcela: come si può rendere coinvolgente e interessante una disciplina spesso temuta, come la Matematica?
Negli ultimi anni il mio approccio all’insegnamento si è arricchito ed è mutato, grazie alla conoscenza ed alla sperimentazione di nuove metodologie didattiche, accomunate da uno stesso paradigma: il superamento della matematica come disciplina monolitica e a sè stante, in favore di una visione olistica del sapere e del saper fare.
Si parla oggi di discipline STEM (science, technology, engineering and mathematics) come di una unica realtà. La transdisciplinarità è fondamentale nella crescita culturale degli studenti, e sviluppa sinergie positive da parte dei docenti. Il mio impegno sarà concentrato nel confronto costante con i colleghi delle discipline professionalizzanti e soprattutto di quelle umanistiche, perché risulti efficace ed organica l’azione didattica. Continuerò a fare tesoro dell’osservazione degli studenti impegnati nei loro laboratori, alla ricerca di occasioni di corto circuito fra la matematica e la professione.
Al tempo stesso è necessario ridurre al minimo il ricorso alla lezione frontale in favore di situazioni di apprendimento attivo e partecipato, specialmente in un istituto professionale, che ha fra i punti fondamentali della propria missione l’educazione alla collaborazione ed al rispetto reciproco, particolarmente in presenza di stili di apprendimento tanto diversi fra loro. A tale scopo continuerò a fare ampio ricorso a tutte quelle tecnologie che, integrate fra loro in maniera critica e costruttiva, permettono di vedere la matematica. Altrettanto importanti sono le metodologie che portano ad una sorta di gamification dei contenuti, solleticando la naturale attitudine dei giovani al gioco, alla sfida.
Ho diverse idee che cercherò di realizzare nel corso dei mesi, legate alla riduzione della produzione di rifiuti, al riutilizzo creativo di materiali di scarto, alla realizzazione di prodotti eno-gastronomici che rappresentino, integrino e supportino quanto si studia in classe, coniugando programmazione disciplinare ed obiettivi dell’Agenda 2030.
Sono grato alla Dirigente ed allo staff di vicepresidenza per la disponibilità e per la fiducia mostrate finora nei miei confronti, il loro supporto è un elemento indispensabile perché la sperimentazione risulti produttiva ed efficace.
Uno degli obiettivi che ritengo fondamentali è la ricerca e la confutazione del misconcetto. Spero di ottenere e di mantenere la fiducia delle mie classi nel mio ruolo di facilitatore dell’apprendimento e dello sviluppo del senso critico.
Infine, nel congedarmi, da Docente di Diritto e Referente per l’Educazione Civica, non posso fare a meno di chiedere, al Prof. de Benedictis, di dirci per quale ragione un cittadino che voglia dirsi pienamente tale o possa fare a meno di strutturare solide competenze matematiche.
Gli studi antropologici sembrano confermare che la matematica sia nata insieme alle necessità dei primi uomini di cercare una qualche forma di giustizia nella distribuzione di risorse. La matematica non sta solo nelle x, nelle y e nelle altre lettere che usiamo quotidianamente in classe. È nell’arte figurativa, nella musica, nella poesia, nella geografia, nella tecnica, nell’educazione civica, nella lotta agli sprechi, nella cura per l’ambiente. Soprattutto la matematica è un diritto ed un dovere di ogni cittadino.
Il diritto ed il dovere di poter dire che 2+2 fa 4, come in “1984” di Orwell.
Il diritto ed il dovere di controllare con i propri occhi se un grafico sia o meno coerente con i dati che rappresenta.
Il diritto ed il dovere di capire se chi propone una scommessa ci lascia qualche possibilità di vincere; è fondamentale per discutere in maniera seria di ludopatia, una piaga silenziosa che sta dilagando velocemente dentro e fuori le scuole.
Il diritto ed il dovere di controllare di lavorare a condizioni giuste.
Il diritto ed il dovere di verificare se siamo rispettati come cittadini e come consumatori.
Ancora, il diritto ed il dovere di poter fare autonomamente fact checking, di individuare uno slogan privo di fondamenti, di provare a sprecare meno tempo e meno risorse possibile.
Infine, il diritto ed il dovere alla condivisione di una forma di comprensione della bellezza e del mondo, che abbiamo ereditato non solo da poche grandi menti illuminate, ma dal progresso incredibile e corale di un’intera specie, quella umana.
Matematica è progresso.
Vi chiediamo, ora che siete qui, di cercare quel bellissimo Preludio di Chopin noto come La goccia d’acqua e di farVi accompagnare da quel suono, perfetto, levigato, scintillante, brillante, rotondo…..e ora isoliamo la singola protagonista che stiamo cercando, la Goccia d’Acqua, la forma perfetta, il frammento d’infinito in cui si rispecchia il mondo nella sua interezza….
…ora, immaginiamo che giovani Studenti del corso di Sala, quotidianamente impegnati a misurare dosi, versare vini, distillati, liquori con attenzione scientifica, mescolare con precisione, alla ricerca dell’aroma perfetto, della perfetta riproduzione delle ricette codificate o dell’invenzione inedita, concentrati a distinguere sapori e aromi, primari e secondari, allenati fino a saper discernere il gusto della singola goccia di una bevanda, si siano lasciati attrarre da questa forma mirabile e abbiano pensato di portarla sulla scena, di assegnarle l’evidenza che le spetta, oggetto di ricerca scientifica e oggetto poetico, immagine cara ai poeti come ai bambini che ne seguano il lento scivolare sul vetro nei giorni di pioggia.
Ma una goccia ha bisogno di essere trasformata per rendersi visibile, di solidificarsi, di ingrandirsi……i designer si sono impadroniti di questa forma, ne hanno fatto contenitori, lampade, oggetti d’arredo…..ma…..come riportare la goccia al mondo del cocktail in una forma che non fosse stata già trattata prima…..?
Parte da qui la storia del Cocktail Drop of Ice, invenzione degli Studenti e delle Studentesse della classe 4A Sala, guidati dal Professor Paolo Diotallevi, che ha messo a disposizione dei suoi Allievi i frutti di una professionalità che si è forgiata in anni di attività in strutture di eccellenza, in Italia come all’estero, Londra in particolare, nei cui locali di altissimo livello ha avuto l’onore di avere come Ospiti Sua Maestà la Regina Elisabetta II o una pop star come Madonna.
Seguendo il naturale corso delle cose, dall’acqua si è passati al ghiaccio, all’idea di formare, di rendere perfettamente visibile, una goccia d’acqua come scultura di ghiaccio, e questa prima intuizione ha avuto un immediato risvolto: perché di solito il ghiaccio si usa NEL COCKTAIL, ma non si degusta un cocktail NEL GHIACCIO: da oggetto “contenuto”, il ghiaccio poteva diventare oggetto “contenitore” di un cocktail, con un sorprendente effetto di rovesciamento.
A questo punto, scienza e creatività si sono incontrate e rafforzate a vicenda: dopo vari esperimenti, si è pensato di congelare dell’acqua all’interno di un semplice palloncino, pura o trattata con coloranti alimentari, e di appendere il palloncino, proprio per dare al liquido interno la forma oblunga, a forma di goccia d’acqua, perché è proprio il penso a determinare la forma allungata della parte superiore; poi si è dovuto capire come far congelare l’acqua facendo sì che le pareti della goccia fossero congelate, ma non il suo interno, perché l’interno avrebbe dovuto essere utilizzabile, per accogliere il cocktail vero e proprio; prova dopo prova, si è trovato il tempo giusto: dopo 14 ore in congelatore o 3 ore in abbattitore, si congelano solo le pareti esterne della goccia, raggiungendo lo spessore adeguato per dare solidità alla goccia-contenitore che, una volta bucata con un trapano ad hoc o con un bisturi consente di versarvi il cocktail e poi di degustarlo con una cannuccia, mantenendolo ghiacciato al punto giusto.
In sintesi, questo è stato il nostro viaggio intorno a una goccia d’acqua che, per rendersi visibile, si è trasformata in una bellissima Goccia di Ghiaccio, pronta per arricchire, con la perfezione delle sue forme, il momento magico rappresentato dalla degustazione del nostro cocktail, il Drop of Ice, che ora porgiamo a Voi, nostri carissimi Ospiti, come un piccolo oggetto d’arte e di scienza in cui si rispecchia la bellezza e la perfezione della natura.