L’esperienza insegna.

Da Angelo, I Ristorazione , sezione Casa di Reclusione Maiano, riceviamo e volentieri pubblichiamo.

‘Ciao Giovanni…..questa potrebbe essere una riflessione per te, compagno di brutte avventure e per i giovani:

La mia famiglia è di origine calabrese. I miei si sono conosciuti in Calabria tramite i miei nonni e si sono sposati. Allora tre fratelli di mamma vivevano a Roma: erano emigrati in città in cerca di un futuro migliore; a Gerocarne, un paesino in provincia di Vibo Valenzia, era disoccupato un giovane su due. Così, ben presto, anche i miei genitori si sono trasferiti a Roma. Vivevano in una borgata: la borgata Prenestino. Nel quartiere,  circa trentadue caseggiati, il tasso di criminalità era altissimo. La notte c’ era il coprifuoco. Mamma e papà hanno costruito una casa; la corrente è stata allacciata dopo qualche mese, mentre per il gas utilizzavano una bombola. Papà lavorava con gli zii, i fratelli di mamma. Noi figli siamo nati uno dopo l’ altro: quattro maschi e tre femmine. A quei tempi ero inscritto alla prima elementare, purtroppo sono stato bocciato. Ricordo che mia madre si arrabbiò moltissimo con la maestra. Dopo tanti anni di dure lotte, anche attraverso alcune associazioni comuniste del quartiere, abbiamo ottenuto una casa a Casal Bruciato, una borgata sulla Tiburtina. Non credevo ai miei occhi: moquet sul pavimento, acqua calda, vasca da bagno… Ero felice, ma in giro c’ era tanta, ma tanta criminalità. Erano anni di fuoco, cominciai a frequentare la scuola; in famiglia i soldi scarseggiavano.  Vedevo gli altri bambini con i loro giocattoli; io non potevo averli anche se papà non mi faceva mancare il cibo, i vestiti, il materiale scolastico. Stavo male; spesso i compagni mi prendevano in giro.  A  volte,  i bambini sono crudeli, non volendo possono fare del male, ferire chi è in difficoltà perché meno fortunato di loro. Così ho iniziato a rubare; uscivo dalla classe per andare al bagno e rubavo tutto quello che trovavo nelle tasche dei giubbotti. Già ad otto anni, commettevo furti nei grandi magazzini, all’ Upim, alla Standa… Rubavo gli oggetti più svariati: giocattoli, caramelle, pennarelli colorati… Vedevo altri bambini che avevano la bicicletta e, anche io avevo la mia bicicletta… rubata. A nove anni, dieci anni rubavo motorini: Ciao, Vespa.  La maestra, intuendo il mio disagio, cercava di sensibilizzare le altre mamme, di far loro capire i motivi della mia irruenza, dei miei comportamenti anomali, illegali, fuori dalle regole. Questo perché combinavo tanti danni e i padri degli alunni mi aspettevano fuori dalla scuola… Quando la polizia mi prendeva mi portava in Questura ma, ero minorenne e non potevo essere arrestato. Mio padre mi picchiava ma io continuavo a commettere reati in compagnia dei miei amici quattordicenni e quindicenni. La professoressa di italiano mi aiutava perché capiva: era una donna bella e soprattutto, umana: una donna con la “D” maiuscola. Questo l’ ho capito troppo tardi! Comunque,  a undici anni con un mio amico,  ho rapinato un benzinaio. Avevamo alcune pistole,  è passata la polizia e ci ha arrestato. A quei tempi, i poliziotti non guardavano in faccia a nessuno: erano sempre botte, tante botte, schiaffi, calci… Al momento dell’ arresto il mio amico aveva quindici anni considerando il mio caso, il giudice del tribunale dei minori  chiese  il supporto di un assistente sociale. In un primo tempo, proposero  l’ inserimento in una casa famiglia, poi,  grazie alla positiva relazione dell’ assistente sociale,  fui  affidato ai miei genitori. Mio padre, però, non sopportava più le mie “ribellioni” così, tramite amici mi procurò  un lavoro onesto.  Ma il lavoro non era adatto a me: ero un delinquente “ cronico”, puzzavo troppo nel senso che ero entrato in un tunnel senza via di uscita, avevo imboccato una strada senza ritorno:  continuavo a commettere furti. Scalino dopo scalino, ho visto di tutto e di più… A quattordici anni sono andato via di casa. Mia madre era disperata, così tutti i giorni, di nascosto andavo a trovarla perché, nonostante tutto, l’ amavo. Ne aveva passate tante per colpa mia! Sono entrato e uscito dal carcere di Casal del Marmo fino all’ età di diciotto anni. Mamma veniva sempre ai colloqui, accompagnata da mio zio. Devo dire che ero molto arrabbiato, perché avevo preso tanti schiaffi, calci… dai poliziotti e da mio padre.  Quando ero bambino, però, nel profondo del mio animo ero buono.

Ora capisco tante realtà del mondo e sono in grado di guardare oltre le apparenze anche perché, ho avuto molto tempo per meditare quando sono stato condannato in base all’ articolo 14 bis e ho vissuto sei mesi in isolamento. Oggi ho modificato il mio carattere: faccio colloqui con la psicologa e mi trovo bene perché con lei parliamo di tutto: di me, della mia situazione familiare. Questi colloqui mi aiutano a non avere crisi nervose. Quando è morto mio padre, nel 1998, mi è cascato il mondo addosso: ho cominciato a pensare, perché lui era una persona onesta, un grande lavoratore. Con tanti sacrifici aveva aperto una ditta di rivestimenti.  Prima di andare al suo funerale, ho iniziato a riflettere e a capire quanto dolore ho causato a lui e a mia madre. Mamma, tramite i suoi amici,  sapeva tutto: i furti, le canne. Così ho preso un foglio, una penna e ho deciso di scrivere una lettera. Ho chiesto a papà scusa per tutto il male che gli ho fatto, sperando che,  quando arriverà nel “suo”  mondo e leggerà le mie parole, potrà perdonarmi ricordando solo i momenti belli passati insieme, le partite di calcio, la raccolta dei funghi,  i racconti della sua gioventù quando andava in paese per vedere le ragazze… Forse, Giovanni, queste righe ti faranno capire che si può sempre ricominciare nella vita, anche se non è facile.

                                                                                                                                                             Con affetto Angelo”

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