di Angelo Piga.
8 marzo, festa della donna: piovono mimose (vere e virtuali che siano) come fossero coriandoli a carnevale ed auguri in ogni dove.
Ormai è abitudine mandarne, è sempre più facile! Smartphone in mano, foto della mimosa dal web, apri w.app e via: auguri a tutte le donne!!! Ma cosa vuol dire auguri? Più leggo questo lemma e più noto quanto si stia depauperando. L’augurio è un desiderare che qualcosa di bene ti accada: a Natale ti auguro che sia una giornata felice, al compleanno ti auguro che sia un anno di belle cose, a capodanno ti auguro un anno di bellezza in senso lato… ma alla festa della donna cosa devo augurare?
L’augurio allontana quasi, nel suo significato, la volontà che le cose vadano meglio. Se devo augurarvi, donne, “buona festa della donna” vi sto privando della vostra (anzi nostra) volontà di cambiamento, sto sminuendo la realtà della vostra autonomia, sto ledendo quelli che dovrebbero essere i vostri diritti naturali.
Non saranno certo le mie mimose su Facebook a far si che una donna in qualche paese estero (e non solo) non sia più considerata “proprietà” del marito, non sarà una foto su Instagram ad evitare che qualcuna di voi subisca abusi in casa o fuori, non sarà un mio messaggio su un social ad evitare che altre vengano mercificate.
Non è un augurio quello che dovremmo fare oggi, perché il cambiamento che serve non è qualcosa che dipende dal fato o dal destino o da chissà quale congiunzione astrale favorevole nell’anno del Bue, ma dovremmo dedicare il silenzio, il rispetto e riconoscere con consapevolezza che ci sono realtà, spesso nemmeno così lontane da noi, in cui la donna è un essere umano ma non di fatto.
L’8 marzo che dovrebbe essere una data per pensare e riflettere, invece, si è consumata in un “tanti auguri” che soffoca nel silenzio di tante bocche chiuse, come quelle di quelle donne che, pur avendo una voce, non possono usarla.