di Simone Conticelli.
*Per quanto ancora tristemente attuale, il femminicidio non è un’invenzione del XXI secolo, ma affonda le sue radici in una concezione della società estremamente patriarcale, presente da secoli e difficile a morire.
La struttura delle organizzazioni mafiose non solo non fa eccezione, ma esaspera queste dinamiche, privando le donne di qualsiasi possibilità di decidere autonomamente della propria vita e di ogni volontà di indipendenza.
È in un simile contesto, nel 1878, in una Palermo controllata dalle mafie, che si consuma quello che viene ricordato come il primo femminicidio di mafia.
La vittima è Anna Nocera, 17 anni e un figlio in grembo, il figlio del suo carnefice, Leonardo Amoroso, membro del potente clan di Porta Montalto. Anna aveva umili origini e la povertà della famiglia non le aveva lasciato altra scelta se non quella di continuare a lavorare presso gli Amoroso, anche dopo l’abuso subito da Leonardo. A nulla era valsa la richiesta della ragazza di un matrimonio riparatore, che avrebbe, almeno in parte, mitigato la terribile onta del disonore a cui sarebbe stata costretta per aver avuto un figlio senza essere sposata. Leonardo rispose alla sua richiesta sbarazzandosi di lei e facendo in
modo che il corpo della giovane non venisse mai ritrovato. Anna, però, non è morta solo per mano di Leonardo Amoroso, ma è stata anche vittima del contesto in cui viveva.
Siamo nella Sicilia della seconda metà dell’800, l’Italia è stata unificata solo da pochi anni e il neonato Stato fatica a prendere il controllo sull’isola, proprio a causa della forte e radicata presenza mafiosa. La povertà è dilagante e la famiglia
di Anna non può permettersi di andare contro una delle famiglie mafiose più potenti di Palermo; nessuno avrebbe sostenuto la sua battaglia e lei avrebbe perso ogni possibilità di lavorare.
C’è poi l’ombra del disonore, in una società in cui avere un figlio senza avere un marito significava automaticamente essere una donna facile, una poco di buono, una che sicuramente “se l’era cercata”. Tutto questo è ulteriormente amplificato dal contesto mafioso, dominato dall’ omertà e da una ferrea logica del potere secondo cui è la mafia a dettare le leggi e a farsi giustizia da sola, ribellarsi a questo meccanismo significa, inevitabilmente, rimanerne vittima.
Tanto è cambiato da quel primo femminicidio, a cui ne sono seguiti molti altri (la seconda donna vittima della mafia è Emanuela Sansone, anche lei diciassettenne, uccisa nel 1896), altrettanto barbari, ma tanto ancora c’è da fare per scardinare i pilastri di un patriarcato che ha ostacolato l’emancipazione delle donne, mietendo troppe vittime sul proprio
cammino.
* Angela Nocera è il nome che apre il lungo elenco di tutte le vittime innocenti delle mafie. Con lei e con questo articolo di Simone Conticelli, vogliamo riflettere su temi di scottante attualità: il femminicidio e le vittime innocenti delle mafie che Libera ricorda, da 26 anni, il 21 marzo: appuntamento che, al “G.de Carolis”, non passa sotto silenzio!