Memoria e Poesia

di Beatrice Emili.

Senza la banalizzazione e la retorica che inevitabilmente accompagnano ogni commemorazione, mercoledì 30 gennaio, il nostro Istituto ha celebrato il Giorno della Memoria al Chiostro di san Nicolò, con il convegno “Shoah, i figli dei sopravvissuti”, aperto a tutta la cittadinanza.

Si è trattato di un incontro con Vivi Salomon, figlia di genitori sopravvissuti alla Shoah, organizzato dall’Istituto Alberghiero, in collaborazione con l’ISUC (Istituto per la Storia contemporanea dell’Umbria) e il Comune di Spoleto. La nostra Dirigente, prof.ssa Fiorella Sagrestani, ha presentato l’evento e coordinato gli interventi degli ospiti: il dottor Umberto de Augustinis, Sindaco della Città; il prof. Renato Nardelli, Responsabile della Sezione didattica dell’ISUC; Vivi Salomon, protagonista della Giornata.

I relatori hanno sottolineato l’importanza della manifestazione, in quanto nessuna epoca è immune dal male, quindi si ha un grande bisogno di trasmettere la memoria storica come monito e, al tempo stesso, come auspicio per un’umanità migliore. Tutto questo di fronte a una platea di giovanissimi studenti, infatti hanno assistito le classi quinte non solo del nostro Istituto, poiché il tema è inerente al programma di Storia previsto per l’ultimo anno delle superiori e rientra nelle competenze di Costituzione e cittadinanza richieste dal Ministero.

Vivi Salomon ha offerto la sua testimonianza di figlia di sopravvissuti, anzi, discendente di un’intera famiglia di superstiti della Shoah: nonni, genitori, zia, cugini; molti altri, invece, mai più ritornati dai campi di sterminio nazisti. Di questa grande famiglia originaria della Transilvania, una regione di confine dell’Est Europa, lei ha scelto di parlare di Klara, sua madre, deportata ad Auschwitz nel 1944, all’età di 13 anni, liberata dai russi il 25 aprile 1945. Ha raccontato di come per tantissimi anni Klara non abbia parlato, né voluto sentir parlare della Shoah, né rimettere piede in quella Budapest da cui era stata brutalmente prelevata per salire su uno dei famigerati treni della morte. Solo in età matura, dopo la nascita dei nipotini, si è convinta a raccontare la sua storia; ha riaperto le ferite e, insieme ad esse, i documenti di quella terribile esperienza.

Vivi ha ascoltato, raccolto tutta la documentazione, finalmente è venuta a conoscenza di tutti i particolari. Da allora la sua vita è cambiata: ha deciso di assumere “il solenne impegno di raccontare tutto, di non trascurare neanche un angolino, di accerchiare l’orrore da ogni parte”(Aaron Appelfeld, scrittore israeliano sopravvissuto all’Olocausto). Così, oltre alla sua professione di architetto d’interni, ha scelto di realizzare questa sua missione diventando guida in lingua italiana allo Yad Vashem e girando le scuole per testimoniare la memoria della Shoah, in un’epoca in cui ormai i superstiti sono estinti. Il suo racconto è stato molto commovente, ma anche lucido e senza cedimenti, durante il quale nella sala, pur gremita, si è creato un silenzio palpitante di tensione, quel silenzio pieno di sgomento che si deve a tutte le vittime della Storia.

Per i ragazzi è stata certamente una pagina di storia viva che non dimenticheranno. Al termine del racconto di Vivi, Victoria de Nisco, alunna del V Sala A, ha letto e commentato una poesia da lei composta dal titolo “Il bambino di Auschwitz”, raccogliendo il plauso dei presenti e l’apprezzamento di Vivi. Alcune ragazze del V Eno B hanno infine letto dei passi tratti dal romanzo “La tregua” di Primo Levi.

Questa sollecitazione alla memoria, a non abbandonare il passato all’oblio deve far parte del sistema educativo; la morte di massa, i campi, il razzismo sterminatore sono questo passato che dobbiamo ricordare, condannare, perché la non conoscenza e l’indifferenza possono generare altri mostri.

Concludo con i bellissimi versi della poesia “Dora Markus” di Eugenio Montale, la cui storia ricorda vagamente quella di Klara, per affinità etnica e geografica:

(…) La sera che si protende
sull’umida conca non porta
col palpito dei motori
che gemiti d’oche e un interno
di nivee maioliche dice
allo specchio annerito che ti vide
diversa una storia di errori
imperturbati e la incide
dove la spugna non giunge.
La tua leggenda, Dora!

Ma è scritta già in quegli sguardi
di uomini che hanno fedine
altere e deboli in grandi
ritratti d’oro e ritorna
ad ogni accordo che esprime
l’armonica guasta nell’ora
che abbuia, sempre più tardi.
È scritta là. Il sempreverde
alloro per la cucina
resiste, la voce non muta,
Ravenna è lontana, distilla
veleno una fede feroce.
Che vuole da te? Non si cede
voce, leggenda o destino…
Ma è tardi, sempre più tardi.

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